lunedì 30 novembre 2009



fianchi di duna, capelli di sabbia
seni come arance acerbe
labbra come susine, solo da mordere.
onde di spuma bianca su un'isola deserta
ombelico, unico salvagente.
si anelano mute carezze
per annegare poi nel solito profumo.

mercoledì 14 ottobre 2009

A me stessa.



Amo tutti gli inizi. Quelli dei libri celebri e non, quelli che quando sei in libreria, sbilanci il peso del corpo su un piede, la borsa a tracolla da un lato, la testa inclinata, la mano sinistra a reggere quel tesoro e con l'indice ed il pollice accarezzi la prima pagina. ed eccole là le dediche.

A Elisabeth. A Sara, perchè te l'avevo promesso. Ai miei figli.

Leggi le prime due righe e ti chiedi quale ventre sia stato capace di dare alla luce l'ispirazione di quei grandi che hanno fatto la storia.

stanotte questa pagina non ha un inizio vero. allora cacciamo via l'inizio e la sua compagna fine, cominciamo dal figlio, cominciamo dal mezzo.

Un mezzo composto di fogli a quadretti, di pensieri sconnessi.
Il metro di carta dell'Ikea che adoro attorcigliare attorno all'indice per poi lasciarlo cadere, giù, in picchiata, finchè non tocca il marmo.
Le candele che bruciano l'ossigeno, lentamente.
Nuove voci in corridoio. E quelle vecchie, che risuonano da lontano, da dentro.

Le abitudini cadono in fondo al cassetto dei ricordi e le arance andate a male si decompongono, magari lo facessero anche le nostre paure!
L'autunno è entrato dalla finestra con tutti i suoi spifferi emotivi e non si fa in tempo a coprirsi che lassù sulle montagne le vette sono già panna.

Un nuovo lavoro, sarà odio o sarà amore con la cravatta? vincerà il casual friday tutti i giorni?
Un esame all'università, un essemmesse atteso sempre con quello stupore che ormai di fanciullesco ha solo l'odore.
Le insicurezze di una giovane donna che vuole colmare la storia mentre la Tosca grida il suo amore.

Amelie è sempre là, icona che non esiste, icona delle persone sole ed incomprese. sempre là, a prendere polvere e sole e pioggia. I gatti di legno custodi di simboli di fede. Parigi, Parigi, sogno di strade lucenti e cappelli eleganti, la locanda di donna Marie e il suo vin chaud.

Amori e bugie soffocati sotto il cuscino, tra una lacrima che non scivola più ed un sorriso forzato.

Senso di malinconia stanotte. Un accento che non si riconosce più. Lingue lontane e pericoli al confine.

La vita, il futuro si mischiano al passato, ai sogni, alle insicurezze come ragnatele.

Torna questo senso di non spazio dentro me ed io - gazzella inquieta - ricomincio a correre.

Vorrei un tetto su cui guardare, una bicicletta anni '30 da lucidare e la voglia di cancellare e ricominciare, la voglia di scrivere delle "case degli altri" che mi hanno fatto diventare quella che sono oggi.

e stasera non c'è una fine chiara-mente. c'è solo chiara e questo basta.

On air: "Si rien ne bouge" - Noir Desir.


martedì 9 giugno 2009

demain


il lunedì mattina è uguale a tutti gli altri lunedì dell'anno messi in fila uno dietro l'altro. come gli autobus che aspettano al capolinea di fronte alla stazione termini. e come i lunedì e gli autobus, una cascata di pensieri si sussegue, tutti ordinati, uno appresso all'altro.

il biglietto spiegazzato nella tasca del jeans che - puntualmente - dimentico di togliere quando faccio il bucato e lo ritrovo poi sbiadito a fare capolino.

il cieco che col suo bastone bianco e rosso si fida di se stesso e lentamente porta le sue gambe sull'orlo della scala mobile del metrò.

la signora Africa, come la chiamo io, che amo salutare con un cenno della mano, tutte le mattine, mentre io cogl'occhi assonnati vado in ufficio e lei cogl'occhi grandi ed espressivi canta sotto un ombrellone colorato, le canzoni della sua terra.

i fogli del Leggo calpestati già alle 9.10. l'odore, quello buono e quello cattivo, delle persone. il loro sudore, le camicie segnate a mezzaluna sotto le ascelle ed i sandali coi calzini dei tedeschi che, con le guance rosse per il caldo, scendono alla fermata "Colosseo".

la luce che arriva all'improvviso dopo piramide, si esce dal buio quando meno ce l'aspettiamo. luce e fisarmoniche che cantano tutti i giorni la stessa melodia, da ormai otto mesi.

otto mesi di travaglio e di sbadiglio. otto mesi di busta paga. otto mesi di caffè in cialde bruciate e barrette ipocaloriche, che mi viene un senso di disgusto solo a vederle giacere là, sul mobiletto della coffee room, chè dire stanza della pausa, pare brutto ed allora sostituiamo le cose da fare con bullet point e punto di condivisione con sharepoint e facciamo questo check che controllo non va più di moda. a volte mi chiedo che fine abbia fatto la lingua di Dante e perchè la pizza da asporto sia diventata take away senza rimedio.

e due lacrime grandi e piene mi scivolano da quel buco stretto all'inizio dell'occhio quando una collega mi dice "come faremo senza miss s?". e mi sento amata e coccolata, la mascotte della situazione o anche la marmotte della situazione, visto che in otto mesi sono riuscita ad arrivare prima degli altri sono due volte.

mi sento fortunata. ed inquieta, tanto inquieta perchè non mi chiedo cosa so fare ma ciò che mi piace fare. e a questa domanda una risposta non c'è.
mi piace tutto e mi piace nulla.
mi piace il senso di giustizia ma sugli artt. del c.p.c. il mio Morfeo ci si culla indisturbato.

mi ricordo di mario, il primo giorno di lavoro. era lui l'addetto a sistemarmi il piccì con tutte le pwd possibili ed immaginabili. ed allora ecco un giga12 ed un lady08 che poi è diventato pluto, più facile e più simile a quello che mi sento io, soprattutto quando scoppia la gomma del 93 ed io sono in un fottutissimo ritardo cosmico e la legge di murphy ride di me.

ed oggi ho paura di domani. cosa farò? con chi vivrò? e tra qualche giorno la casa sarà piena di scatoloni e mi viene da piangere perchè tutti hanno una vita che condividono con qualcuno e all'improvviso "ciao ragazza ciao tieni tra le dita il ricordo di ciò che è stato".

ed io non sono mai stata brava con gli scatoloni. porto sempre alla spicciolata le cose, le lascio qua e là, piccola nomade di me stessa, che si affeziona agli odori e ai cuscini degli altri, che ha paura di cadere nell'oblio, che ha paura di sentirsi, di ascoltarsi. preferisco dire che mi perdo e che cerco di ritrovarmi poi. ma alla fine lo sanno tutti - compresa me - dove cercarmi.

oggi ho paura di domani, di questo senso di precarietà mensile. è strano, sai, la casa ha di nuovo l'odore di casa mia. manca solo quel programma che faceva Corrado, il pranzo è servito, ed il manico della scopa con cui arrivavo ad accendere l'interruttore del bagno, un metro d'altezza di meno. il divano è lo stesso. eppure io oggi mi sento piccola e fragile. con la voglia di nascondere la faccia sulla camicia di qualcuno più grande di me.

ed invece no. infilo il naso tra gli atti nulli del codice di procedura, dicendo a me stessa che ce la posso fare, che il futuro mi aspetta con altre persone da amare, da conoscere e magari detestare, con la scrittura che è un alito di vita in questa giornata rafferma, come il pane che ho dimenticato di baciare prima di buttare.

mercoledì 13 maggio 2009

lunedì 4 maggio 2009

Parler au Vent.


vorrei tagliare via i pensieri tristi stasera, piegarli come tanti aeroplanini di cartapesta e lasciarli liberi di andare dove il vento li porta. quando cala la sera, conservo dentro i visi già stanchi delle persone incontrate alla fermata "garbatella", la mattina, quando sulla lingua abbiamo ancora il sapore del caffè; mi porto dentro le parole dure, gli sguardi fissi e gli accenti marcati; il sudore della fronte degli operai che, a mezzogiorno, scavano sulla Colombo; la sensibilità abbraccia anche l'indifferenza; il cuore si strizza ripensando ai pomeriggi passati col naso all'insù contando le nuvole come fossero innumerevoli agnelli bianchi e grigi, agnelli in fuga. agnelli che non sanno o che non vogliono sapere.
mi vien voglia di scrivere e di scrivere e di scrivere. una storia, la mia. chissà. un jour peut etre.



venerdì 17 aprile 2009

Polaroid istantanee di pensieri.



L'emozione di trascrivere in lettere bianche i miei pensieri sfumati, stanotte, è forte. Scrivo sempre meno perchè non sento più il "bisogno", come un tempo, che le mie grida s-consolate incontrino quelle di occhi sconosciuti. non cerco più conforto, confronto spassionato, commenti che mi diano un giudizio - qualunque esso sia - su ciò che scrivo o su ciò che penso. Sono diventata gelosa dei miei pensieri, di quelli nati la mattina sul metrò, quando assonnata a fatica riesco a tenermi in piedi, oppure, di quando i miei piedi stanchi cercano il sentiero familiare.
Eppure, stanotte, qualcuno mi ha riportato ad Amélie. Quell'Amélie tanto amata, tanto ascoltata e compresa, quella ragazza dietro cui petitekiki s'è riparata, trovando un "favoloso mondo" tutto suo, tutto intimo e forse - chissà - magari solo immaginato o sognato.
Sono tornata stanotte per scrivere delle frasi che apparentemente un senso , per voi, non avranno. ma è quello che il ritmo incalzante del mio respiro mi comanda di scrivere. voi prendetele pure, gettatele in un angolo dimenticato del cyberspazio, serrate con un click la pagina oppure fermatevi ad immaginare pure, perchè tutto - ma proprio tutto - ha un inizio ed una fine e soprattutto un significato.

il ciddì de "Les Choristes" in una busta marrone protetto dalle bollicine trasparenti ed un francobollo blu: poste prioritaire.
una lumaca portacandele, ancora intatta sul cappello del nano viaggiatore.
un sacco a pelo ed un cuscino leopardato.
il primo viaggio da ricca.
il primo viaggio da sola. il pesto alle sei del mattino e la cioccolata fondente 90%: la nostra cena, non necessariamente in quest'ordine.
la prima volta che ho tradito.
le volte in cui ho pianto soffocando il volto sul cuscino.
quando ho desiderato prender sonno, svegliarmi dopo dieci anni e scoprire le rughe ai lati della bocca. invecchiare per mano al tempo ed esserne quasi contenta.
la prima volta che ho fatto l'amore e ho pensato durasse per sempre. e al solo pensiero provo tenerezza ed amore per quei due ragazzi così maledettamente belli.
la mia rabbia e la paura. l'impotenza. la noia. la gioia di essere viva. la speranza.
i viaggi in treno con la fronte appoggiata al finestrino mentre il paesaggio correva veloce.
Paris bella come un sussulto di felicità, una notte di settembre ed il senso di protezione che ho provato al suo fianco, aggrappata alle sue "erre" arrotate.
Un abbraccio consumato in mezzo ad una piazza vuota e la sensazione d'amore fraterno per un amico.
una casa che m'è sempre appartenuta e la tenerezza ed i ricordi - a volte agrodolci - per quella vecchia.
i miei genitori, anime salve, nel mio cuore.
le mie passioni, il mio fuoco che mi tiene al caldo, che mi rende viva.
le parole che mi accarezzano nei giorni di malinconia.
le lettere d'amore che mi strizzano il cuore.
le parole: calzini, succopera, viziòso, permalòso, fianchi di luna e tristezza abbracciata tra seni bianchi. ed il suo odore dietro il collo e i baci sui palmi delle mani sull'uscio di casa.
una rosa rossa che s'intona con le mie scarpe.
il film welcome e le mie lacrime senza suono.
le gateau au chocolat e il camionpizza e tutto è perfetto.
il suo odore sul cuscino a prima mattina ed il caffè che sbrodola dalla macchinetta.
la doccia bollente quando fuori si gela ed il vapore come nebbia copre lo specchio.
il treno per Lyon e la panchina di marmo lungofiume.
accenti differenti ed un solo principio: a m o r e.

è l'amore che mi fa scrivere stasera, l'amore per quello che ho avuto, per quello che sono stata e per quello che sono oggi, l'amore per ciò che fu, anche quando tutto era nero ed io avevo paura di non farcela. l'amore mi ha dato la forza di trattenere il fiato, d'immergermi nei fondali del mio spirito e di riemergere, spalancando la bocca al cielo, come un vagito di salvezza.

l'amore per la vita.

chiamatemi logorroica, narcisista ed egocentrica. a chi è arrivato a pensare questo di me - e ad indovinarci - in regalo: un sorriso tutto per lui. in fondo, la pazzia ed i sorrisi - ha ragione il greco - sono gratis.





martedì 10 marzo 2009

Queenpower.


La noia. Questo senso indescrivibile di non rapporto con gli oggetti e quindi con la realtà. Una notte tutta da vivere, i tacchi a spillo che risuonano nel corridoio, un pijama grigio addosso e gli occhi ancora intrisi di novità che chiedono solo un pò di riposo. Non c'è noia stanotte, c'è una consapevolezza diversa degli altri e di se stessi.
C'è voglia di addormentarsi senza farsi troppe domande. Sarò la tua donna? Non ieri, non oggi. Forse domani.

Nuit a te, a me e alla Regina.

mercoledì 4 febbraio 2009

'lut.


E buongiorno alle nuvole chiare e a quelle scure, alle parole strozzate nella cornetta del telefono, ai sogni intessuti nella fase rem, ai granelli del caffè caduti fuori dalla macchinetta. E buongiorno a te che sbuffi e ti lamenti alle otto del mattino, al cuscino sporco di rimmel della sera prima. E buongiorno perchè è sempre un buongiorno quando De Andrè riempie la stanza tra una pagina asettica di diritto ed un essemmesse atteso col fiato bloccato in gola.
E buongiorno alla non voglia di fare, dire e pensare. Buongiorno all'incoscienza, ai buoni propositi e a quelli cattivi, al desiderio di scappare a Cuba, di s-coprirsi, di bere rum odoroso di libertà e vestiti succinti, piedi nudi e fianchi provocanti.
E buongiorno a te che mi leggi e non sai chi sono, e buongiorno a me, sì a me, che vivo giorno per giorno senza sapere dove mi porterà la prossima stazione.
Salut alle indecisioni, alle sorprese in-attese e alle debolezze, tutte.
'Lut.


venerdì 30 gennaio 2009

diari.di.metrò II


La voce metallica annuncia: "Prossima stazione: Colosseo. Uscita lato sinistro. Next stop: Colosseo".
E si sta tutt'in piedi, condividendo la stessa aria stantia che sa di chiuso ed underground.
Scarpe alla moda, scarpe da muratore, impolverate di bianco, dai lacci colorati, col tacco, a punta tonda, con una punta sporgente come spada, occhiali dalla montatura spessa o in titanio, leggeri come piume, ciglia senza rimmel ed occhiaie scavate come rotaie, nasi aquilini, tatuaggio che nasce dall'orecchio e come ramo nasconde il collo, cappotti col cappuccio di pelliccia sintetica e maglioni a righe.
Un piercing pizzica il labbro inferiore e la matita con cui si sta scrivendo mangia tutti i particolari, ascolta voci senza ritmo, trema e frena ad ogni scossone emotivo, insieme al metrò.
Se i pensieri avessero voce questo vagone d'anime griderebbe sogni, delusioni, stanchezze e speranze, con un sibilo così forte da superare la barriera del suono.
Ancora un tunnel ed una curva, altri neon in fila, uno dopo l'altro ad illuminare pensieri labirintici. Si ha tempo di riflettere, un tempo infinitamente lungo o breve. Zaini pieni d'incoscienza giovanile, giornali vecchi solo di una mattina calpestati da piedi ingrati, occhi persi su un pavimento muto e dita dallo smalto consumato lasciano impronte del loro passaggio, proprio qui, davanti ai tuoi occhi. Un'altra stazione arriva senza accorgersene. Sale un'orchidea rosa a profumare questo pezzo d'aria. Un sorriso inatteso s'inspira come una sigaretta fumata dopo anni. C'è chi sbuffa. Chi scende spintonando, chi non cede il posto ai capelli bianchi. Chi non si pettina la mattina, chi si veste senza metter d'accordo i colori nell'armadio. Chi rende partecipi gli altri della propria telefonata. Chi guarda di traverso, chi ha le guance rosse e sembra aver appena pianto. Chi trattiene sul ventre la borsa come tesoro dissepolto. Chi consuma uno sguardo come rapace affamato. Chi appoggia la testa al vetro sporco dicendo addio ad un passato troppo recente, chi perde la strada sognando ad occhi aperti. Chi, con curiosità e nonchalance, legge le prime righe del libro del suo sconosciuto compagno di viaggio. Chi ha l'aria triste, spessa come nebbia sulle colline. Chi ha l'atteggiamento aggressivo ma gli occhi buoni, come pane appena sfornato. Chi ha le unghie sporche di grasso ed una tuta blu. Chi parla lingue di mondi lontani. Chi , invece, ha un profumo conosciuto.
S'approda come naufraghi ad un'altra stazione familiare ed il vagone d'umanità si svuota. Il pavimento s'alleggerisce, perde vita, i sedili vengono abbandonati ma le impronte di tutti quei passaggi, restano. Anche qui.
Si sale dagli inferi al cielo, solo per dare un bacio alla luna. E ricomincia la corsa, in superficie, stavolta.

giovedì 15 gennaio 2009

P.g.


Ciascuno di noi s'aggrappa, con forza, alla maniglia dell'autobus, come alle speranze che nascono la mattina sui nostri cuscini e muoiono, poi, ad ogni fermata. Le porte si spalancano e noi scendiamo insieme ai nostri sogni facendo evaporare insicurezze e debolezze. Un'altra giornata finisce e si ritrova il sentiero di casa.

Foto "Kids in a bus" di Valentine294.

lunedì 12 gennaio 2009

diari.di.metrò, une autre course.


Camminava perdendo lo sguardo all'orizzonte dei palazzi, con andatura lenta. All'improvviso, il numero 93, in tutta la sua luminosità, le sfrecciò accanto, disegnandole lo stupore sul volto. Con gli occhi ancora assonnati, afferrò - decisa - la borsa, prese - a pieni polmoni - una boccata d'aria fredda e iniziò la sua corsa. Un'altra, ancora.
Le porte si aprirono, lei balzò sull'autobus, che - miracolosamente - l'aveva aspettata. Entrò con nonchalance, col sudore raggelato sulla fronte. Si rese conto d'essere osservata e fu in quel momento preciso che abbassò timidamente le ciglia.
Affianco a lei, un viaggiatore sconosciuto, con ritmo cadenzato del piede, teneva il tempo della musica che accompagnava il suo tragitto. Lei sorrise a questo gesto così spontaneo. Con un movimento delicato si tolse il cappello e aspettò, paziente, la sua fermata. Le serrande dei negozi erano tirate su a metà, i banconi dei bar già colmi di gente ed i clacson non davano tregua.
C'è sempre chi, al semaforo, aspetta - fremente - che il rosso diventi verde e chi - impaziente - accelera affinchè l'arancione non diventi rosso. Non ci si accontenta mai.
C'è chi legge il giornale tenendosi in bilico con una sola mano, chi ha gli occhi tristi, persi in un dove troppo lontano, irraggiungibile, inafferrabile, anche da lei, da lei che nota ed osserva tutto.
Le porte si aprirono, altra gente salì, non scese nessuno.
Ci sono viaggi in cui si sta compressi come sardine in quelle scatole di latta, dalla lama sottile, che apriamo con cautela per paura di tagliarci.
Alcuni occhi sono proprio come quella lama, fessure taglienti che lasciano intravedere un mondo buio e scuro, come pozzi senza fondo. La gente ti spinge, ti alita addosso, gli ombrelli bagnati s'attaccano alle gambe, i pantaloni s'inumidiscono come gli occhi stanchi di quel vecchio, dalle mani nodose aggrappate ad un bastone di legno consumato, compagno di saggezza. Mani bianche, piccole e curate sfiorano quelle di un indiano, dalle unghie arrotondate e più chiare del palmo, mani che hanno una storia lontana da raccontare. Un'altra fermata ed altre storie s'intrecciano come tutte quelle dita che per un istante s'incontrano, si passano un pò di vita da pelle a pelle, da pupilla a pupilla. In quell'istante mattutino, che dura solo pochi minuti, si bevono occhi ed anime come fossero un bicchiere di vino rosso. Quando si scende alla propria fermata, i piedi tremano, lo stomaco tace e la testa gira. Ci si sente come ubriachi per tutto quel flusso rosso di vita che - a prima mattina - t'investe con tutta la sua straordinaria normalità.