
La voce metallica annuncia: "Prossima stazione: Colosseo. Uscita lato sinistro. Next stop: Colosseo".
E si sta tutt'in piedi, condividendo la stessa aria stantia che sa di chiuso ed underground.
Scarpe alla moda, scarpe da muratore, impolverate di bianco, dai lacci colorati, col tacco, a punta tonda, con una punta sporgente come spada, occhiali dalla montatura spessa o in titanio, leggeri come piume, ciglia senza rimmel ed occhiaie scavate come rotaie, nasi aquilini, tatuaggio che nasce dall'orecchio e come ramo nasconde il collo, cappotti col cappuccio di pelliccia sintetica e maglioni a righe.
Un piercing pizzica il labbro inferiore e la matita con cui si sta scrivendo mangia tutti i particolari, ascolta voci senza ritmo, trema e frena ad ogni scossone emotivo, insieme al metrò.
Se i pensieri avessero voce questo vagone d'anime griderebbe sogni, delusioni, stanchezze e speranze, con un sibilo così forte da superare la barriera del suono.
Ancora un tunnel ed una curva, altri neon in fila, uno dopo l'altro ad illuminare pensieri labirintici. Si ha tempo di riflettere, un tempo infinitamente lungo o breve. Zaini pieni d'incoscienza giovanile, giornali vecchi solo di una mattina calpestati da piedi ingrati, occhi persi su un pavimento muto e dita dallo smalto consumato lasciano impronte del loro passaggio, proprio qui, davanti ai tuoi occhi. Un'altra stazione arriva senza accorgersene. Sale un'orchidea rosa a profumare questo pezzo d'aria. Un sorriso inatteso s'inspira come una sigaretta fumata dopo anni. C'è chi sbuffa. Chi scende spintonando, chi non cede il posto ai capelli bianchi. Chi non si pettina la mattina, chi si veste senza metter d'accordo i colori nell'armadio. Chi rende partecipi gli altri della propria telefonata. Chi guarda di traverso, chi ha le guance rosse e sembra aver appena pianto. Chi trattiene sul ventre la borsa come tesoro dissepolto. Chi consuma uno sguardo come rapace affamato. Chi appoggia la testa al vetro sporco dicendo addio ad un passato troppo recente, chi perde la strada sognando ad occhi aperti. Chi, con curiosità e nonchalance, legge le prime righe del libro del suo sconosciuto compagno di viaggio. Chi ha l'aria triste, spessa come nebbia sulle colline. Chi ha l'atteggiamento aggressivo ma gli occhi buoni, come pane appena sfornato. Chi ha le unghie sporche di grasso ed una tuta blu. Chi parla lingue di mondi lontani. Chi , invece, ha un profumo conosciuto.
S'approda come naufraghi ad un'altra stazione familiare ed il vagone d'umanità si svuota. Il pavimento s'alleggerisce, perde vita, i sedili vengono abbandonati ma le impronte di tutti quei passaggi, restano. Anche qui.
Si sale dagli inferi al cielo, solo per dare un bacio alla luna. E ricomincia la corsa, in superficie, stavolta.
E si sta tutt'in piedi, condividendo la stessa aria stantia che sa di chiuso ed underground.
Scarpe alla moda, scarpe da muratore, impolverate di bianco, dai lacci colorati, col tacco, a punta tonda, con una punta sporgente come spada, occhiali dalla montatura spessa o in titanio, leggeri come piume, ciglia senza rimmel ed occhiaie scavate come rotaie, nasi aquilini, tatuaggio che nasce dall'orecchio e come ramo nasconde il collo, cappotti col cappuccio di pelliccia sintetica e maglioni a righe.
Un piercing pizzica il labbro inferiore e la matita con cui si sta scrivendo mangia tutti i particolari, ascolta voci senza ritmo, trema e frena ad ogni scossone emotivo, insieme al metrò.
Se i pensieri avessero voce questo vagone d'anime griderebbe sogni, delusioni, stanchezze e speranze, con un sibilo così forte da superare la barriera del suono.
Ancora un tunnel ed una curva, altri neon in fila, uno dopo l'altro ad illuminare pensieri labirintici. Si ha tempo di riflettere, un tempo infinitamente lungo o breve. Zaini pieni d'incoscienza giovanile, giornali vecchi solo di una mattina calpestati da piedi ingrati, occhi persi su un pavimento muto e dita dallo smalto consumato lasciano impronte del loro passaggio, proprio qui, davanti ai tuoi occhi. Un'altra stazione arriva senza accorgersene. Sale un'orchidea rosa a profumare questo pezzo d'aria. Un sorriso inatteso s'inspira come una sigaretta fumata dopo anni. C'è chi sbuffa. Chi scende spintonando, chi non cede il posto ai capelli bianchi. Chi non si pettina la mattina, chi si veste senza metter d'accordo i colori nell'armadio. Chi rende partecipi gli altri della propria telefonata. Chi guarda di traverso, chi ha le guance rosse e sembra aver appena pianto. Chi trattiene sul ventre la borsa come tesoro dissepolto. Chi consuma uno sguardo come rapace affamato. Chi appoggia la testa al vetro sporco dicendo addio ad un passato troppo recente, chi perde la strada sognando ad occhi aperti. Chi, con curiosità e nonchalance, legge le prime righe del libro del suo sconosciuto compagno di viaggio. Chi ha l'aria triste, spessa come nebbia sulle colline. Chi ha l'atteggiamento aggressivo ma gli occhi buoni, come pane appena sfornato. Chi ha le unghie sporche di grasso ed una tuta blu. Chi parla lingue di mondi lontani. Chi , invece, ha un profumo conosciuto.
S'approda come naufraghi ad un'altra stazione familiare ed il vagone d'umanità si svuota. Il pavimento s'alleggerisce, perde vita, i sedili vengono abbandonati ma le impronte di tutti quei passaggi, restano. Anche qui.
Si sale dagli inferi al cielo, solo per dare un bacio alla luna. E ricomincia la corsa, in superficie, stavolta.